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8/15/2015

Se Berlino rischia di essere il nemico della Ue.

Le scelte dell’amministrazione Merkel alimentano pericolosi squilibri della zona Euro. Di Philippe Legrain
La zona euro ha un problema e il proble
ma è la Germania. Le politiche tedesche
del “rubamazzo” e più in generale la ri
sposta alla crisi che la Germania ha indi
rizzato si sono rivelate disastrose. A sette anni
dall’inizio della crisi, l’economia della zona euro
sta andando peggio di come andò in Europa du
rante la Grande Depressione degli anni Trenta.
Gli sforzi del governo tedesco volti a schiacciare
la Grecia e costringerla ad abbandonare la valu
ta unica hanno destabilizzato l’unione moneta
ria. Finché l’amministrazione Merkel continue
rà ad abusare della sua posizione dominante di
principale creditore per portare avanti i suoi mi
opi interessi, la zona euro non potrà prosperare
– e potrebbe non sopravvivere.
L’immenso surplus delle partite correnti
della Germania – i risparmi in eccesso genera
ti dall’abbassamento dei salari per sostenere
le esportazioni – è stato sia una causa della cri
si della zona euro, sia un ostacolo per risolver
la. Prima della crisi quel surplus alimentava i
prestiti “cattivi” delle banche tedesche all’Eu
ropa meridionale e all’Irlanda. Adesso che il
surplus annuale della Germania – cresciuto fi
no a raggiungere i 233 miliardi di euro (255 mi
liardi di sterline), avvicinandosi all’8% del Pil
– non è più “riciclato” nell’Europa meridiona
le, la depressa domanda interna del Paese
esporta deflazione, che esaspera le disgrazie
debitorie della zona euro.
Le eccedenze della Germania nei confronti
dell’estero sono in palese contrasto con le nor
mative previste dalla zona euro al riguardo di
pericolosi squilibri. Il governo Merkel, però
esercitando pressioni sulla Commissione Euro
pea, ha ottenuto il via libera. Ciò trasforma in una
presa in giro la sua affermazione di essere la pa
ladina della zona euro, come in un club che ha
delle regole. Infatti, la Germania le infrange im
punemente, le altera per adattarle alle proprie
esigenze, o addirittura le inventa a suo piacere.
In verità, proprio mentre spinge gli altri alle ri
forme, la Germania ignora le raccomandazioni
della Commissione: sta obbligando la Grecia ad
elevare l’età pensionabile – uno dei requisiti ne
cessari per concederle un ulteriore programma
di aiuti dall’eurozona – nel momento stesso in
cui abbassa la propria. Chiede insistentemente
che i negozi greci restino aperti anche di dome
nica, benché quelli tedeschi siano chiusi.
Sembra quasi che per la Germania il corporativismo
debba essere spazzato via altrove ma protetto in
casa. Oltre a rifiutarsi di correggere la sua econo
mia, la Germania ha rifilato i costi della crisi agli
altri. Allo scopo di soccorrere le banche del Pae
se invischiate nelle decisioni di erogare prestiti
“cattivi”, Angela Merkel ha infranto la regola del
“no-bailout” prevista dal Trattato di Maastricht
che vieta ai governi membri di finanziare gli al
tri, e ha costretto i contribuenti europei a eroga
re prestiti a una Grecia insolvente. Nello stesso
modo, i prestiti a Irlanda, Portogallo e Spagna da
parte dei governi della zona euro in primo luogo
hanno salvato in extremis le banche locali insol
venti, e di riflesso i loro creditori tedeschi.
A peggiorare ancor più le cose, in cambio di
questi aiuti la cancelliera ha ottenuto un con
trollo molto maggiore su tutti i budget dei go
verni della zona euro con una camicia di forza
fiscale che svigorisce la domanda e pone vinco
li alla democrazia: normative più rigide per
l’eurozona e un fiscal compact. L’influenza del
la Germania ha dato vita nella zona euro a
un’unione bancaria asimmetrica e piena di bu
chi. Le Sparkassen tedesche – banche di rispar
mio con uno stato patrimoniale complessivo di
circa mille miliardi di euro – sono esenti dal
controllo e dalla supervisione della Banca cen
trale europea, mentre le mega-banche poco ca
pitalizzate come Deutsche Bank e i marci pre
statori regionali di proprietà statale del paese
hanno ottenuto un poco plausibile certificato
di sana e robusta costituzione.
L’unica regola della zona euro ritenuta sacro
santa è l’irrevocabilità dell’appartenenza. Non
esiste alcuna clausola contrattuale che preveda
la possibilità di uscirne, perché l’unione mone
taria è concepita come un primo passo verso
un’unione politica, e perché in caso contrario
degenererebbe in un regime pericolosamente
inflessibile e traballante di tassi a cambio fisso.
La Germania non ha trasgredito soltanto a que
sta regola: oltre a ciò, il suo ministro delle finan
ze, Wolfgang Schäuble, ne ha da poco inventata
di sana pianta un’altra, quella secondo cui nella
zona euro l’alleggerimento del debito è vietato
per giustificare il suo vergognoso comporta
mento nei confronti della Grecia. In conseguen
za di tutto ciò, l’appartenenza della Germania al
la zona euro – e per estensione quella di tutti i
suoi membri – è subordinata all’ubbidienza al
governo tedesco. La zona euro ha disperata
mente bisogno di alternative mainstream a que
sto asimmetrico “Consenso di Berlino” nel qua
le gli interessi dei creditori sono anteposti a
quelli di chiunque altro e nel quale la Germania
domina tuto il resto. Il Merkelismo sta provo
cando stagnazione economica, polarizzazione
politica, e un brutto nazionalismo. Francia, Italia
ed europei di ogni colore politico devono ado
perarsi subito e intervenire proponendo altre
visioni di ciò che dovrebbe essere l’eurozona.
Una possibilità sarebbe quella di un maggio
re federalismo. Istituzioni politiche comuni,
responsabili nei confronti degli elettori della
zona euro, verrebbero a costituire una contro
parte fiscale democratica alla Bce e aiutereb
bero a contenere la potenza tedesca. Ma la cre
scente animosità tra gli stati membri della zona
euro, e l’erosione del sostegno all’integrazione
europea sia nei paesi creditori sia in quelli debi
tori, stanno a indicare che un maggiore federa
lismo è politicamente inattuabile, in teoria ad
dirittura pericoloso.
Una possibilità migliore sarebbe quella di
orientarsi verso una zona euro più flessibile,
nella quale i rappresentanti nazionali eletti ab
biano maggiore voce in capitolo. Una volta ri
pristinata la regola del “no-bailout”, poi, i gover
ni avrebbero più margine di manovra per per
seguire politiche anticicliche e rispondere alle
mutevoli priorità degli elettori. Per rendere
plausibile un simile sistema, si dovrebbe creare
un meccanismo di ristrutturazione del debito
dei governi insolventi. Ciò, unitamente alla ri
forma delle direttive previste per la capitalizza
zione delle banche permetterebbe ai mercati, e
non alla Germania, di porre un freno ai prestiti
davvero eccessivi. Preferibilmente, anche la
Bce dovrebbe ricevere il mandato di agire da
prestatore di ultima istanza per i governi illiqui
di ma solventi. Questi cambiamenti potrebbero
raccogliere un ampio consenso – e servire gli in
teressi della stessa Germania. I membri della
zona euro sono imprigionati in un matrimonio
infelice nel quale la Germania spadroneggia.
Ma la paura, da sola, non basta a tenere insieme
per sempre un rapporto. Se Angela Merkel non
rinsavirà, finirà col distruggerlo.

Philippe Legrain è stato consigliere economico
della Commissione Europea con Barroso, dal 2011 al 2014.
È Visiting senior fellow alla London School of Economics

9/05/2009

Rischio recessione di "doppio fondo"

L'ipotesi che proiettano la maggioranza dei mezzi di comunicazione di analisti del sistema economico è quello della "crescita debole" (uscita lenta della recessione), con un recupero lieve delle variabili economiche che non raggiungerà per riattivare i due pilastri basilari della crescita economico mondiale: L'impiego ed il Consumo.


I numeri ufficiali dei dati dell'economia reale, rivelano un fenomeno contrapposto: Ci sono segni lievi, i paesi centrali cominciano ad uscire soavemente dal processo recessivo, ma non ci sono dati né segnali che rivelino un recupero immediato dell'impiego e dei livelli di consumo.

L'economia globale sembra aver "toccare il fondo" (della recessione), dopo essere passato per la peggiore recessione e crisi finanziaria della Grande Depressione.

Nel quarto trimestre del 2008 ed il primo del 2009, il ritmo di contrazione delle economie più avanzate era simile alla caduta libera del PIL della crisi del 1929.

Davanti all'attuale situazione segnala un autorevole giornale bisogna porsi tre questioni.

Quando finirà la recessione globale?
Come sarà il recupero economico?
Ci sono rischi che si riproduca una ricaduta?

In quanto alla prima domanda, tutto indicherebbe che l'economia globale toccherà il fondo nella seconda metà del 2009. In molti paesi sviluppati, (USA, Regno Unito, Spagna, Italia ed altri membri dello zona euro, ed in alcune economie emergenti, quasi tutte europee.

In altre economie avanzate, come Australia, Germania, Francia e Giappone, e nella maggior parte dei mercati emergenti, come Cina, India, Brasile ed altre zone dell'Asia ed America Latina, il recupero è già cominciato e si comincia a percepire lievemente, quindi è iniziata un'uscita debole della decelerazione economica.

Come sarà il recupero?

Rispetto a come sarà il recupero, il quotidiano dice che verrà in forma O, recessione lunga ed uscita lenta, con crescita debole per almeno un paio di anni.

Per il giornale, l'ipotesi di un recupero in forma di O significa che l'occupazione continuerà a cadere drasticamente in USA ed in altri paesi: nelle economie avanzate, l'indice di disoccupazione supererà il 10 percento nel 2010.

Questa è una brutta notizia per la domanda e per le banche , ma anche per i lavoratori qualificati, un fattore fondamentale per la crescita della produttività lavorativa a lungo termine.

L'uscita ad ( O) si consolida per la contrazione creditizia delle banche che limita la capacità di erogare crediti per l'acquisto di nuove case e di investire per le imprese, gli indebitati consumatori affrontano la caduta del prezzo dell'abitazione e delle borse valori.

Il sistema finanziario continua il quotidiano , nonostante le misure adottate, continua ad essere sommamente deteriorato. Le entità bancarie tradizionali affrontano alcune perdite potenziali derivate da prestiti attivi di miliardi di dollari, oltre a soffrire una grave mancanza di capitalizzazione.

Il basso rendimento, dovuto all'alto indebitamento ed ai rischi di insoluto, saranno un freno per la crescita e le costanti pressioni deflazionistiche sui margini corporativi limiteranno le imprese a produrre, e a contrattare con il personale ed investire.

L'indebitamento del settore pubblico attraverso l'aumento dei grandi deficit fiscali minaccia di spostare il recupero della spesa nel settore privato. Inoltre, gli effetti dei pacchetti di stimoli smetteranno agli inizi del prossimo anno 2010, che è quello che aumenta l'incremento della domanda privata per sostenere la crescita continua.

La riduzione degli squilibri globali implica che i deficit per conto corrente delle economie più prodigiose come USA, ridurranno le eccedenze di paesi che tendono all'eccesso di risparmio, come Cina ed altri mercati . Nonostante la domanda interna non cresca ad un ritmo sufficientemente rapido il recupero della crescita globale sarà più debole.

La recessione di "doppio fondo"


Secondo il quotidiano, questo scenario di "crescita debole" aumenta il rischio che si possa produrre una recessione di doppio fondo, in forma di W, rialzo temporale quando l'economia sente l'impulso dello stimolo fiscale che svanisce subito dopo.

Ci sono rischi di strategie di uscita, qualsiasi cosa facciano le autorità:
per esempio devono tener conto dei grandi deficit venutosi a creare all'interno degli stati dell'Europa.

Se aumenteranno subito le imposte, taglieranno la spesa e termineranno con gli stimoli di liquidità in poco tempo, freneranno il recupero, facendo si che l'economia giri ad un stato di stagflazione, recessione più deflazione.

Un altro motivo per temere una recessione di doppio fondo è che "i prezzi del petrolio, l'energia e l'alimentazione crescono subito al di sopra dei fondamentali economici e potrebbero salire sempre più, per la liquidità eccessiva e la domanda speculativa. I 145 dollari il barile registrati l'anno scorso colpirono seriamente l'economia mondiale e, più in concreto, l'attività commerciale. L'economia mondiale non potrebbe resistere ad un altro colpo del genere, se la speculazione fa che il petrolio superi rapidamente i 100 dollari il barile."

In sintesi la cosa probabile è che il recupero sia debole, recessione lunga ed uscita lenta, e c'è un gran rischio che svanisca l'effetto del “salvagente” per imprese e banche da parte dello Stato, una recessione di doppio fondo, cioè una ricaduta della crisi spinta per la mancanza di ripresa del credito, per il consumo e l'impiego di manodopera specializzata fattore cardine.

Altro problema per le imprese sarà il reperimento di manodopera specializzata che grazie alla crisi è migrata in altri lavori più nobili, puliti, semplici e redditizi, quindi se non ci saranno degli incentivi concreti in ambito salariale soffriranno pesantemente per la produzione.

In linee generali, l'ipotesi del finanziario anglo-statunitense è on line con le proiezioni che realizzano gli esperti ed economisti allineati in una visione "pessimistica" rispetto all'uscita della crisi.

La chiave alfabetica

Come un'inchiesta del Wall Street Journal realizzato alla fine di aprile tra economisti, le possibilità di un recupero attraversa un complicato scenario la cui uscita è marcata per lettere dell'alfabeto.

La lettera "V", segnala il tipo di recupero rapido che normalmente arriva dopo una profonda recessione.

La lettera "O", segna una recessione più lunga ed un recupero più lento.

La lettera "L", segnala anni di crescita lenta e dolorosa.

Nella "W",rialzo temporale quando l'economia sente l'impulso dello stimolo fiscale che svanisce subito dopo.

Finalmente sta la "D" maiuscola, non per la sua forma bensì per un'altra Gran Depressione.

Che lettera dell'alfabeto segnerà finalmente la conclusione della crisi?

Nonostante le notizie siano complicate e dettagliate, la sua essenza è facile da riassumere.

Gli ottimisti credono che il recupero avrà forma di V. Gli scettici sostengono che si vedrà più come una W, rialzo temporale, o perfino come una successione di lettere W, conclude.

Cioè che, nella visione per i pessimisti, il recupero è solo un miraggio transitorio che tende a svanire.

Ma, oltre la visione degli analisti del sistema, la fatidica "uscita" della crisi ha chiaramente due letture parallele:

Da una parte, la piovra finanziaria di Wall Street e le borse mondiali, riciclano una nuova "bolla" lucrativa, non con denaro speculativo proveniente dal settore privato, bensì con fondi pubblici, delle imposte pagate da tutta la società, messi compulsiva mente al servizio di un nuovo ciclo di rendimento capitalista con la crisi.

E per un altro, mentre il processo inflazionistico recessivo sfrenato dalle economie centrali, USA ed Europa, genera già fame, povertà e svalutazione accentuata del potere d'acquisto delle maggiori classi sociali a scala planetaria, un proficuo gruppo di mega-imprese e miliardari moltiplicano a scala siderale i suoi attivi imprenditoriali e le sue fortune personali.

Simultaneamente, l'economia reale delle potenze economiche collassa in tutte le sue variabili, i settori più prestigiosi accedono agli "accomodamenti" mentre una crisi sociale, ancora di effetti imprevedibili, continua ad aumentare dai licenziamenti massicci in Europa ed USA.

È chiaro allora che quello che è "crisi" per alcuni, i licenziati ed i settori sociali più deboli della società, risulta "bolla lucrativa" per altri, il capitalismo finanziario con l'economia della leva finanziaria speculativa.

I poveri, sono a sua volta i maggiori danneggiati per l'utilizzo fraudolento, la truffa dello Stato capitalista, di fondi di imposte pubbliche per salvare imprese private, poiché non contano sulle risorse, risparmi e mezzi di provenienza delle classi alte.

Questo non è capitalismo e sarà sempre peggio.

"Per favore, considerate tutti questi fattori la prossima volta che qualcuno denuncerà il sistema statunitense come il mi...