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2/20/2024

L’Estonia ha proposto un modo “relativamente stupido” per lasciare la Russia senza soldi

L'UE ha proposto di emettere obbligazioni per un valore di 100 miliardi di euro per proteggersi dalla Russia. Questa iniziativa è stata fatta dal primo ministro estone Kaja Kallas 🤑. Il politico ha sottolineato che i paesi dell'Unione devono aumentare gli investimenti nell'industria della difesa e dobbiamo muoverci tutti insieme in questa direzione. La Francia ha espresso solidarietà al primo ministro estone. Tuttavia, altri paesi come i Paesi Bassi e la Germania potrebbero opporsi a tale idea. Temono che se le riserve congelate della Russia diventeranno garanzia per gli Eurobond, la reazione della Russia sarà imprevedibile.

L'Unione europea dovrebbe sviluppare un piano per l'emissione di eurobond del valore di 100 miliardi di euro, i cui proventi verranno utilizzati per investimenti nell'industria della difesa, ha suggerito Kaja Kallas. "Siamo in una situazione in cui dobbiamo investire di più ed esplorare cosa possiamo fare insieme, perché le obbligazioni che verranno emesse dai singoli paesi da soli sono troppo piccole", ha affermato il capo del governo estone..

Secondo lei, l'UE deve sviluppare l'industria militare, concludere contratti a lungo termine per la fornitura di armi a Kiev sia dalle proprie riserve che da fonti in tutto il mondo..

Ciò che garantirà l'affidabilità degli Eurobond non è stato annunciato, ma non è difficile indovinarlo. Non è un caso che in precedenza il Ministero degli Esteri russo avesse avvertito che la Russia stava preparando misure di risposta nel caso in cui l'Unione Europea avesse utilizzato le riserve sovrane congelate russe come garanzia per obbligazioni che potrebbero essere emesse per raccogliere capitali per finanziare le esigenze dell'Ucraina..

Abbiamo discusso della realtà del piano UE e delle sue possibili conseguenze con Alexander Razuvaev, membro del consiglio di sorveglianza della Corporazione degli analisti finanziari e dei gestori del rischio.

— Quali fattori hanno spinto il Primo Ministro estone a fare una proposta del genere??

— I paesi europei hanno grossi problemi. Ad esempio, recessione e così via. Molte persone hanno un debito pubblico molto grave. Permettetemi di ricordarvi che 10 anni fa una storia simile accadde con il gruppo PIIGS, che comprendeva Portogallo, Italia, Grecia e Spagna. L'acronimo PIIGS viene utilizzato in linea di principio per riferirsi a un gruppo di paesi che, durante la crisi del debito europeo, non sono stati in grado di rifinanziare autonomamente il proprio debito pubblico o di salvare le proprie banche sovra indebitate. Ora, a quanto pare, la storia sta tornando. Si stanno addirittura prendendo in considerazione scenari in cui alcuni paesi dell'UE potrebbero lasciare la zona euro. E se qualche paese lasciasse la zona euro, possiamo aspettarci un grave calo dell'euro rispetto al dollaro e alle altre valute mondiali.

— Se tali titoli appariranno, saranno richiesti dagli europei?

— Di che tipo di legami si tratterà non è ancora molto chiaro. Saranno emessi da un paese specifico o saranno una sorta di documento generale? Come verranno estinti? Una cosa è chiara: gli stati dell'UE stanno cercando di prendere in prestito denaro per la difesa. Ma dato che le possibilità di vittoria dell'UE sono estremamente ridotte, non credo che tali titoli saranno richiesti. Sì, per ragioni politiche a tali obbligazioni può essere assegnato un rating, ma la gente comune capisce tutto. Acquistare qualcosa del genere è una storia dubbia. La redditività in questo caso dipenderà anche dal rating: più il titolo è affidabile, minore sarà la redditività.

— Cosa può garantire l'affidabilità di tali obbligazioni??

— Formalmente, diventano automaticamente più affidabili se le riserve internazionali russe congelate vengono utilizzate per sostenerle. Ma questo sarà, si potrebbe dire, un sequestro dei fondi. In risposta, la Russia potrebbe immediatamente iniziare a contestare le azioni dell'UE e iniziare a nazionalizzare le attività europee nella Federazione Russa, principalmente quelle che si trovano alla Borsa di Mosca. In ogni caso, tali conversazioni in Europa indicano che le cose non stanno andando bene per loro e che l'industria della difesa costa parecchio.

— Una domanda interessante è anche se si tratterà di una storia puramente volontaria, o se si tratterà di un meccanismo di assistenza allo Stato da parte delle aziende a cui verrà segretamente chiesto di effettuare tali investimenti?

— Le autorità possono obbligare le proprie banche ad acquistare volontariamente e obbligatoriamente tali titoli. E già questo rischia di provocare una crisi bancaria. 100 miliardi di euro sono una somma enorme. L'emissione di tali titoli può in linea di principio aumentare i rischi per l'euro e diventare un fattore di deprezzamento della moneta unica europea. Nel complesso. Comunque la si guardi, la storia è molto oscura..

9/30/2023

Europa, una ragazza dell'Asia occidentale, violentata di nuovo da un toro americano, gli abusi contro l’Europa non finiscono mai, perché l’egemone sta compiendo un “omicidio”

    Scritto da Pepe Escobar  


Nella strategia del Cremlino l'obiettivo finale è smilitarizzare e distruggere la NATO. Ci stiamo arrivando, lentamente ma inesorabilmente.



Potremmo sempre sognare che seguendo il filo di Arianna potremmo, e proprio potremmo, districarci dall'attuale, incandescente labirinto geopolitico applicando una merce eccessivamente sopravvalutata: la logica.

Eppure la cultura del post-tutto e dell'annullamento dell'Occidente ha anche annullato la logica.

In caso di dubbio, almeno possiamo tornare ai miti di fondazione.

Torniamo allora alla nascita dell'Occidente, come in Europa.

La leggenda narra che un bel giorno Zeus posò il suo sguardo vagante su una bellissima fanciulla dagli occhi grandi e luminosi, figlia di una civiltà talassocratica del Levante: Europa.

Qualche tempo dopo, su una spiaggia incontaminata della costa fenicia, comparve uno straordinario toro bianco. Europa, incuriosita, si avvicinò e cominciò ad accarezzare il toro; ovviamente quello era Zeus sotto mentite spoglie. Il toro si annetté debitamente Europa e sfrecciò verso il mare.

Zeus ebbe tre figli con Europa e le lasciò una lancia che non mancò mai il bersaglio. Uno di questi figli,
come tutti sappiamo, fu Minosse, che costruì un labirinto.

Ma soprattutto ciò che la leggenda ci ha insegnato è che l'Occidente è nato da una ragazza – Europa – venuta dall'Oriente.

Entra nella Medusa tossica

Ora ecco lo spunto per una trasandata Medusa che manovra i suoi tentacoli tossici a Bruxelles, usando una festa atlantista di auto celebrazione per elogiare il capo del governo giapponese per aver sostenuto la banda neonazista di Kiev e aver combattuto la Russia.

Questo è stato il preambolo di una svolta linguistica infernale: "La Russia minaccia di usare nuovamente le armi nucleari". Questo burocrate oltre che incompetente nel campo della politica non ricorda neanche la storia

ha incolpato la Russia, implicitamente , per il bombardamento nucleare di Hiroshima, quando l'intero pianeta sa chi è stato.

Mentire in modo sorprendente è il modus operandi standard della Medusa: ma ciò che è ancora più sorprendente è che questo stock di Eurotrash in commercio è completamente normalizzato. E ovviamente accettato di buon grado dalla neo-colonia del Sol Levante.

Questo è il modo in cui la Storia viene ora insegnata nelle università "d'élite" di tutto l'Occidente collettivo. E questo è anche il motivo per cui la Russia ha rinunciato a trovare interlocutori anche minimamente qualificati in tutto l'Occidente collettivo.

E c'è di peggio. Si suppone che tali emanazioni di una palude culturale rappresentino l'Europa. Siamo lontani anni luce dal compianto, grande Gianni Vatimo – uno degli ultimi importanti intellettuali europei, che ha proposto diverse sfumature di nichilismo compassionevole e una comprensione della politica come forme di consenso che le comunità forniscono all'interno di orizzonti storici e culturali.

Gli abusi dell'Europa non finiscono mai. Dal punto di vista geo economico, le esportazioni industriali tedesche – che sono state un fattore chiave nella sua bilancia dei pagamenti positiva – stanno andando a rotoli. La Germania e varie nazioni dell'UE dipendono ora dal costosissimo GNL americano.

Un'UE schiava è stata costretta dall'alleato americano a rinunciare semplicemente al mercato russo per le proprie esportazioni di automobili e altre esportazioni che pagavano le importazioni di energia a basso costo. Nel giro di pochi mesi, il commercio equilibrato guardando ad est si trasformò in un deficit commerciale con l'egemone.

Questa è l'eredità chiave della vittoria tattica ottenuta dall'egemone con il bombardamento del Nord Stream 1 e 2 – esattamente un anno fa.

Le fonti di Seymour Hersh all'interno del Deep State americano hanno rivelato chi è stato . L'intera maggioranza globale con un QI superiore alla temperatura ambiente sa chi è stato – e chi lo ha ordinato. Eppure gli attuali psicopatici neoconservatori straussiani che controllano la politica estera degli Stati Uniti riescono ancora a farla franca.

Il bombardamento dei Nord Stream è stato il Rape of Europe Remixed, ora eseguito da un toro americano.

Come ha spiegato dettagliatamente l'indispensabile Michael Hudson, i bilanci interni della Germania e di altri paesi UE/NATO sono già in territorio di deficit – con l'ulteriore "incentivo" della militarizzazione continua dell'UE.

Ciò "imporrà tagli ai programmi governativi nazionali – proprio mentre la Germania e i suoi vicini della NATO stanno entrando in una depressione postindustriale in cui le famiglie e le imprese hanno bisogno di sussidi per coprire i crescenti costi di riscaldamento ed energia, e di un'assicurazione contro la disoccupazione".

Inoltre, l'euro continuerà a crollare rispetto al dollaro USA, e potrebbe presto scendere a 90 centesimi, o anche meno.

La conclusione del Prof. Hudson è cruda: "Quindi quella che sembrava essere una guerra USA/NATO contro la Russia in Ucraina si è rivelata una straordinaria vittoria militare statunitense per bloccare i membri europei della NATO nell'orbita statunitense e bloccare il loro piano di rivolgersi ad Est per commerciare e investire con Russia e Cina".

Godetevi il "laboratorio per l'innovazione militare"

Nel frattempo, l'egemone sta facendo una strage – letteralmente – con la sua guerra per procura in Ucraina.

Le basi: oltre la metà dell'agro-Ucraina è ora di proprietà di Monsanto, Cargill e Dupont, acquistate per una miseria e che traggono profitto dall'ambiente più corrotto di qualsiasi paese del mondo.

I semi dell'Ucraina sono stati distrutti: la Monsanto ora gestisce l'intero racket degli OGM. I cereali dell'Ucraina violenteranno l'Europa equivalgono al pieno controllo del mercato agricolo e alimentare dell'UE.

Sul fronte militare, la matrice degli armamenti statunitensi e i suoi satelliti continuano a trarre immensi profitti da quello che è di fatto riciclaggio di denaro pubblico. L'Ucraina divenne contemporaneamente:

1.Il cimitero delle armi obsolete che necessitano di riciclaggio.

  1. Un "laboratorio privilegiato per l'innovazione militare" (come in passato l'Afghanistan e l'Iraq) – come ha ammesso la numero due del Pentagono, Mara Carlin, alla Ronald Reagan University.

3. Uno show room per le esportazioni globali (beh, i carri armati Abrams che stanno per essere inceneriti dai russi non si qualificano esattamente come un forte punto di forza).

Sul fronte energetico, tutto ruota attorno ai Nord Streams, ancora una volta. Il remix Rape of Europa arriva completo di tori finanziari accessori BlackRock, Vanguard e State Street che controllano totalmente il mercato spot per tutto ciò che l'UE vuole acquistare, con prezzi occasionalmente 20 volte più alti di prima.

Questa è solo la versione breve di ciò che significa veramente "aiutare l'Ucraina".

E le Wunderwaffen continuano ad arrivare: i prossimi sono gli F16.

Andrei Martyanov ha riassunto tutto in modo conciso: "L'Occidente unito ha fallito in guerra". Come nel caso della NATO, l'umiliazione totale sarà cosmica. E questo arriva con una – possibile – battuta finale – di cui ovviamente non si può avere una conferma diretta nei corridoi del potere a Mosca: "I russi lo avevano pianificato, semplicemente non potevano prevedere che l'Occidente si autodistruggerebbe così velocemente". .

È fermamente stabilito che nella strategia del Cremlino l'obiettivo finale è smilitarizzare e distruggere la NATO. Ci stiamo arrivando, lentamente ma inesorabilmente. Ciò che è già stabilito è che lo stupro seriale dell'Europa da parte del toro americano l'ha completamente distrutta fisicamente, economicamente, culturalmente e psicologicamente.

                                                 




3/08/2019

Default o Exit: una battaglia tra l'Italia e l'UE è inevitabile

C'è una doppia crisi italiana che sta producendo nell'Unione Europea.
Da un lato, è una crisi politica, o addirittura geopolitica. L'Italia sta minando l'unità dell'Unione europea; il blocco del riconoscimento da parte dell'UE dei responsabili del golpe in Venezuela come autorità legittima; prevenire l'espansione delle sanzioni contro la Russia; e persino sostenere il movimento del "gilet giallo" in Francia, che sta suscitando la rabbia del governo francese.
D'altra parte, la crisi è di natura economica. L'Italia sta nuovamente scivolando in recessione (la crescita economica è stata negativa nel paese); Le banche italiane stanno di nuovo affrontando problemi finanziari; e i media aziendali hanno già stimato che la crisi economica italiana potrebbe far saltare in aria l'intero sistema bancario europeo.
C'è una forte possibilità che i leader dell'UE si trovino presto di fronte a una scelta : cercare di salvare l'Italia (e l'intera Europa) da un'altra crisi o dare l'esempio punendo il governo italiano per le politiche economiche ed estere indipendenti del paese. A sua volta, il governo del primo ministro italiano Giuseppe Conte avrà molto probabilmente il suo dilemma da affrontare: inchinarsi e vendere i suoi principi per ottenere aiuto da Bruxelles o andare fuori e riconquistare l'indipendenza italiana. La scelta non sarà facile e entrambe le decisioni saranno dolorose. Né la fine di questo dramma italiano potrebbe davvero essere definito felice. Come sottolinea giustamente questo titolo in The Telegraph : "La crisi in atto in Italia porterà a default, uscita dall'euro, o entrambi".

Il primo ministro italiano, Giuseppe Conte, pronuncia il suo discorso durante il voto di fiducia per il nuovo governo al Senato italiano. Nella foto al vice premier di sinistra Luigi Di Maio e al vicepreside Matteo Salvini, Italia, Roma, 5 giugno 2018
Al centro della questione italiana c'è il fatto che la crisi del 2008 non è mai veramente scomparsa, e tutte le autocompiacimento dei politici europei (specialmente italiani) sono stati in realtà tentativi di nascondere i vecchi problemi irrisolti sotto il tappeto. Fino a poco tempo fa, l'economia italiana mostrava una crescita anemica, ma ha iniziato a diminuire negli ultimi due trimestri. Anche gli sforzi per indebitarsi di più non stanno aiutando. Ci sono tassi di interesse negativi nella zona euro, ma è spesso più redditizio per le banche mantenere i loro soldi nella Banca Centrale Europea (anche a un tasso di interesse negativo) o investirli in qualche parte fuori dall'Italia piuttosto che prestarli a rischi per le imprese italiane e ordinarie Italiani che probabilmente non pagheranno mai i soldi indietro. In effetti, alla fine del 2017 in Italia erano stati registrati cattivi debiti bancari per 185 miliardi di euro, un record per l'Unione europea. L'Italia rappresenta circa un quarto dei prestiti in sofferenza nella zona euro (ossia i prestiti che non vengono rimborsati o sono in ritardo), ed è facile capire perché Bruxelles consideri il paese come il punto debole dell'UE.
Un altro problema si è sviluppato dopo che il governo Conte - una coalizione di due partiti populisti ed euroscettici - è salito al potere nel giugno 2018. Ha cercato di risolvere le questioni economiche del paese aumentando gli incentivi governativi, ma l'Italia è già in debito (il debito nazionale dell'Italia è di 131 per centesimo del suo PIL). La Commissione europea ha messo in guardia contro l'allargamento del suo deficit di bilancio e l'aumento eccessivo del suo debito pubblico, e ha minacciato multe per violazione della disciplina di bilancio.
Alla luce della minaccia di sanzioni economiche della Commissione europea (!), Il governo italiano ha dovuto negoziare e fare concessioni nella sua politica fiscale, e ora, a causa della contrazione dell'economia italiana, il gabinetto di Conte sta di nuovo affrontando un dilemma: o sopportare la stretta economica dei burocrati europei (e dell'insoddisfazione degli elettori) o andare contro l'Unione europea.

Per capire veramente il problema italiano, occorre ricordare che, in quanto membro dell'Unione europea e della zona euro, l'Italia non ha piena sovranità nazionale, soprattutto quando si tratta di questioni economiche. Non controlla la politica monetaria della Banca centrale europea e non può nemmeno preparare un bilancio in linea con i desideri del proprio governo o del proprio parlamento, senza il rischio di incorrere in sanzioni o multe dalla Commissione europea. Inoltre, i politici euroscettici italiani sospettano che la Commissione europea (in cui i ruoli principali appartengono a persone selezionate da Germania, Francia e Stati Uniti) stia punendo l'Italia e strangolando letteralmente la sua economia a causa di una avversione politica nei confronti del governo italiano . azioni geopolitiche.
Prendi la recente mossa di Roma per bloccare il riconoscimento dell'Unione europea di Juan Guaidó come presidente del Venezuela, ad esempio. È logico che i funzionari filo-statunitensi della Commissione europea cerchino di punire l'Italia il più duramente possibile per un simile comportamento. E le iniziative dell'Italia non si limitano al Venezuela. Uno dei leader della coalizione di governo, il vice primo ministro italiano Luigi Di Maio, ha tenuto un incontro questa settimana con i leader del movimento 'gilet giallo' in Francia e ha sostenuto i loro sforzi, una mossa che ha causato grande offesa al governo di Il presidente Macron, che probabilmente considerava tali azioni da parte delle autorità italiane come un tentativo di legittimare le richieste politiche di un movimento volto a rimuoverlo dal potere. La risposta logica del presidente francese a tali azioni da parte del governo italiano è quella di utilizzare la Commissione europea e la sua influenza di bilancio per fare pressione sull'Italia.
È chiaro che conflitti come questi indicano instabilità politica all'interno dell'Unione europea e la situazione sta diventando davvero instabile. Da un lato, la Commissione europea potrebbe davvero spingere l'Italia sull'orlo della bancarotta o addirittura scatenare un vero e proprio tracollo economico, che probabilmente (ma non certo definitivamente) porterà a un cambio di governo a Roma. D'altra parte, se ciò accadesse, l'Italia potrebbe dichiarare un default sul debito pubblico, o la sua uscita dall'eurozona, o (come notato da The Telegraph ) sia allo stesso tempo, soprattutto da tali minacce (fino a il ritiro del paese dall'Unione Europea) sono già stati fatti dal governo, il cui capo non ufficiale è il vice Primo Ministro Matteo Salvini.



Ironia della sorte, il peggio di questo scenario saranno le banche francesi, che secondo Bloomberg hanno prestiti italiani per centinaia di miliardi di euro sui loro bilanci. Inoltre, un tale shock potrebbe far sì che gli investitori stranieri (e molti altri europei) iniziassero a fuggire dalla zona euro, aggiungendo una componente valutaria alla crisi bancaria. Il tempo dirà se la Commissione europea è disposta a correre rischi per punire i politici italiani amanti della libertà, ma possiamo già essere d'accordo con Luigi Di Maio, che, dopo aver incontrato i "giubbotti gialli" francesi, ha dichiarato che "i venti del cambiamento hanno attraversato le Alpi ". Per coloro che hanno vissuto il collasso dell'URSS, il simbolismo della frase del politico italiano, sia intenzionale che no, non può non evocare certe associazioni con ciò che è stato detto nello spazio informazioni sovietico negli anni '80. A quel tempo, i "venti del cambiamento" stavano soffiando attraverso ogni singolo crack in Unione Sovietica, e sappiamo che non finisce mai bene. I politici populisti in Europa amano confrontare l'Unione europea con la fine dell'URSS, e questo confronto sta iniziando a suonare vero come mai prima d'ora.
Fonte: zerohedge






10/10/2016

Who Will Exit the EU Next?



By Adriano Bosoni
The European Union's future has been up for debate since the Continent's economic crisis began nearly a decade ago. But questions about the bloc's path have multiplied in recent years as Greece came close to quitting the eurozone and the United Kingdom voted to relinquish its EU membership for good. "The bloc's demise is not a matter of if, but when," Euroskeptics insisted, to which their Europhile peers replied, "The union is irreversible."
Yet like all political creations, the European Union is a momentary construction in the vast expanse of history. One day it will disappear, to be replaced by other entities, or it will continue in name only, looking and operating far differently from the European Union of today. It is impossible to know exactly when this transformation will happen or just how long the process will take. There are some clues, however, as to how the new Europe will come about and, perhaps even more important, what the agent of change will be. If anything, the Continent's current crisis is a stark reminder that despite decades of attempts to weaken it, the nation-state remains the most powerful political unit in the European Union. And as it emerges from the rubble of the Continent's latest experiment in integration, it will play a crucial role in charting Europe's course forward.

A Union That's Anything but Uniform 

Not all EU members are created equal. Losing a member that belongs to the eurozone, for example, poses a much bigger threat to the rest of the system than the departure of one that does not. The prospect of Greece quitting the currency area in 2015 was probably more frightening to France and Germany than Britain's decision to leave the bloc a year later. To be sure, both events would have serious consequences for the European Union, but a Grexit would have immediately shaken the financial foundation of the entire eurozone. The consequences of the Brexit, however, will be more gradual.
Support for EU institutions likewise varies from country to country. According to the Pew Research Center, 72 percent of Poles see the European Union positively — a view only 38 percent of Frenchmen share. Meanwhile, the latest Eurobarometer poll has put support for the eurozone at a whopping 82 percent in Luxembourg, compared with a mere 54 percent in Italy. The Euroskepticism sweeping the Continent has assumed different forms wherever it has taken root: France's National Front advocates leaving the European Union, while Italy's Five Star Movement calls for abandoning only the eurozone. At the same time, moderate political parties are increasingly seeking to end the free movement of workers and to reintroduce border controls, even as they hold onto their EU membership.
Amid these varying demands and faced with the prospect of a Grexit and Brexit, the European Union is being forced to consider the process for leaving the union and whether countries should be allowed to remain members of some parts of the bloc and not others. During discussions on the Greek bailout last year, some countries argued that leaving the eurozone also meant leaving the European Union. Others proposed ways to suspend Athens' membership in the currency area while preserving its place in the Continental bloc. A year later, the same debates are being had about Britain. Several EU members have said that access to Europe's internal market comes at price — namely, accepting EU workers — while others have proved more open to finding a compromise. Regardless of how the talks between London and Brussels shake out over the next few years, they will eventually result in a roadmap for leaving the bloc that other members could use to guide their own departures.
Of course, this raises another question: Why would countries want to leave the European Union or its structures in the first place? Again, the answer depends on the member. Some governments, whether backed by a popular referendum or parliamentary approval, might voluntarily choose to leave. Studies like the latest Eurobarometer, which showed that the Continent's trust in the European Union dropped sharply from 57 percent in 2007 to 33 percent in 2016, suggest that the British referendum may not be the last of its kind. On the other hand, some governments might be forced out of the bloc, should they become politically or financially unable to accept the conditions attached to retaining their membership. (Athens, for instance, made a conscious decision to consent to creditors' demands in order to stay in the eurozone.) Still others could depart as the entities they belong to dissolve, either as the result of a consensual decision or because of an existential crisis.

Likelihood and Consequence 

Which countries choose to renounce their membership in the European Union or its institutions will determine the bloc's fate. The organization could probably weather Croatia's departure, but it would not survive France's. There is also something to be said for the strength in numbers: The flight of a single, small economy would not endanger the European Union, but a coordinated exit of several assuredly would.
Certain political and geographic factors will affect members' chances of someday withdrawing from the Continental bloc. A large Euroskeptic population could pressure its government to opt out of the European Union, or encourage politicians to do so in pursuit of higher approval ratings. Countries with strong economies or strategic locations on the Continent could use their advantages to wrangle a better exit deal — or to exact concessions from Brussels in exchange for staying in the bloc. Members with weaker economies, meanwhile, may have less choice in the matter, since they would likely be the first casualties of any new EU crisis to arise.
By and large, EU members can be divided into four categories of countries based on the likelihood and consequences of their departure from the union.

The Outsiders 

In recent years, some of the European Union's harshest critics have been Central and Eastern European members that do not belong to the eurozone. Many of these countries view the European Union as a pact among states that should remain sovereign, and they have guarded their national powers from Brussels' ever-expanding reach. Hungary and Poland lead the pack in their resistance to deeper European integration, but states like the Czech Republic, Romania and Bulgaria have become similarly skeptical of the eurozone and proposals to increase Brussels' authority.
This is not to say that these countries are willing to desert the bloc. All are net receivers of EU aid and subsidies, and they see EU membership as a route to modernizing their economies and attracting foreign investment. Some even view the bloc as a guarantee of the West's protection against Russian aggression. The majority of voters in the region, moreover, still support the idea of staying in the European Union.
Nevertheless, Central and Eastern European states will not hesitate to assert their national rights and advocate weaker EU institutions. Their opposition to integration will lend momentum to Euroskeptic movements across the Continent seeking to renegotiate terms with Brussels. Over time, persistent anti-EU rhetoric could boost nationalist and populist forces in the region, cornering governments into making decisions that may run counter to their strategic goals.

The Fragile Periphery 

By comparison, countries in the eurozone's periphery tend to support deeper European integration, though they are also among the most vulnerable economies in the bloc. These states, which include Greece, Portugal and Spain, rely on EU subsidies and development funds to stay afloat. They will continue to back the concept of Continental integration as long as it means financial aid for their foundering economies.
The region has had its own complaints about the European Union, but most did not appear until the Continent's financial crisis — and the austerity measures that followed — began. Even then, instead of the right-wing nationalism that emerged elsewhere in the bloc, these countries largely supported left-wing parties that wanted to increase spending and restructure debt rather than close borders or restrict immigration. (Right-wing nationalism rose somewhat in Greece, but it did not rise nearly as dramatically as it did in Northern Europe.)
The states along the eurozone's southern edge may leave the currency zone at some point. But if they do, it is more likely to be in response to an unexpected crisis than a planned decision. Though these countries have similar visions of what they think the European Union looks like in the future, their political and economic weakness will make it difficult for them to form an effective alliance and to take charge of the bloc's decision-making process. And as weak growth, feeble banking sectors, large debts and high unemployment continue to take an economic toll, these countries' traditionally pro-Europe populations could slowly start to turn on the bloc.

The Coalition Builders 

The closer Euroskepticism creeps to the Continent's economic and political core, the more dangerous it will become for the bloc. Northern European countries such as Austria, Finland and the Netherlands are some of the eurozone's richest and most fiscally disciplined members. These states are largely preoccupied with protecting their national wealth from Southern Europe, and they have strong Euroskeptic parties that seek to defend their sovereignty against the interference of EU institutions. That said, they also have an incentive, given their economies' reliance on exports, to protect their markets abroad — most of which belong to the European Union.
Northern European countries tend to coordinate their moves with their neighbors and with larger powers. They are far more likely to collectively push for Continental reform or for the creation of regional blocs than they are to risk their own isolation by acting unilaterally. Though states like Denmark and Sweden are not part of the eurozone, they are culturally and ideologically similar to their counterparts in Northern Europe and could someday join them in a regional replacement for the European Union. Talk of forming a "northern eurozone" or "northern Schengen" has become common in this part of Europe.
Lithuania, Latvia and Estonia are in some ways an exception, though. They joined the European Union and eurozone to discourage Russian aggression by linking themselves as closely to the West as possible. As the home of the European Union's most important institutions, Belgium is also set apart from its Northern European neighbors, and regional politics often take precedence over national efforts to chip away at the bloc's influence. Each of these countries is unlikely to leave the European Union or eurozone of its own volition, though they could become part of a northern alliance should the bloc dissolve.

The Big Three 

If the nation-state will be the primary agent of the European Union's coming transformation, it stands to reason that the bloc's largest members — Germany, France and Italy — will be at the forefront of it.
Italy has historically seen European integration as a means to tie itself to its prosperous northern neighbors and to preserve the unity of the country. But over the past decade, Italians have become some of the Continent's most Euroskeptic citizens, thanks to their country's skyrocketing debt and political instability. Italy is therefore one of the countries that is most likely to use the threat of its exit to squeeze concessions from Brussels. Rome has already leaned on the "too big to fail" argument in its negotiations with the European Union, and future Italian administrations are likely to do the same. But as Europe continues to fragment, each threat will become more dangerous to the bloc than the last.
France and Germany, meanwhile, hold the key to the European Union's future. Even the suggestion of a French or German exit from the bloc or its currency zone would risk triggering a massive structural overhaul. By the same token, the two countries' continued buy-in could be enough to keep the European Union — or some version of it — together. But France and Germany face a paradoxical problem: For strategic reasons they need to maintain a united front, but their national interests continue to pull them apart.
France, as both a Mediterranean and Northern European nation, has found itself torn between a desire to protect its economy and the need to preserve its alliance with Germany. Paris tends to support protectionist and risk-sharing measures, and it has a high tolerance for inflation. Berlin, however, prefers to avoid policies that threaten its wealth and share the risk created by Southern Europe's weak economies. Germany would only agree to France's approach if Berlin were given more control over the fiscal policies of its neighbors — something many countries would find unacceptable. Of the two, France is more likely to act first in demanding the European Union's reorganization because of its rising nationalism and sluggish economic growth. But Germany, hamstrung by its own national interests, would find it tough to compromise with its longtime partner.
At this point, reaching a consensus on a path forward has become all but impossible for the European Union's members. To knit themselves even closer together, EU states would have to compromise on issues that are too important to budge on. The alternative option — reversing European integration — is gaining ground, but it comes with the very real possibility of leading to the bloc's complete dismantling. Members could take a middle road of sorts by choosing to keep things as they are, but even inaction would come at a price, promising even greater problems for the troubled bloc down the line.

https://www.stratfor.com/weekly/who-will-exit-eu-next

8/24/2016

Le Figaro: Come l’Europa ha consentito l’impoverimento della sua classe media


Di Véronique Nguyen
Un coraggioso pezzo su "Le Figaro" denuncia la sconsiderata strategia dell'Unione Europea. La totale devozione al libero scambio della UE ha provocato solamente un drammatico impoverimento della sua classe media, non a beneficio delle popolazioni più povere dei paesi emergenti, ma delle proprie e altrui élite. L'autrice non rivela alcun concetto rivoluzionario, ma è apprezzabile il fatto che un media "mainstream" si sbilanci in una forte critica alle disastrose politiche neoliberiste europee.


L'impoverimento della classe media, il declassamento della sua fascia inferiore, la precarietà e l'insicurezza sociale, la polarizzazione della società con l'aumento della disuguaglianza sono fatti accertati in tutti i paesi occidentali (vedere Cahiers Français, gennaio 2014). Tra il 1980 e il 2010, gli inglesi hanno visto il numero di famiglie povere aumentare del 60%, il numero di quelle ricche aumentare del 33%, mentre il numero di nuclei familiari con reddito medio è diminuito del 27% (The Guardian, 7 marzo 2015).
In trent'anni, l'Unione Europea ha deliberatamente affondato il suo modello sociale, senza avere la soddisfazione di contribuire alla riduzione delle disuguaglianze del pianeta. Il coefficiente di Gini, che misura la disuguaglianza nel mondo su una scala da 0 a 1, è rimasto fermo ad un elevato livello di 0,7, e questo nonostante il continuo aumento della ricchezza prodotta. Tra il 1988 e il 2008, la metà della popolazione del mondo ha visto il suo reddito medio aumentare (tra + 2 e + 3% all'anno), ma è una minoranza di privilegiati che ha attirato la maggior parte dei benefici della crescita (Banca mondiale, novembre 2012). In altre parole, il sacrificio della classe media europea e nord americana non è servito a creare una gigantesca classe media globale.
Imponendo il libero scambio, espandendo la concorrenza in tutte le attività, rifiutando di proteggere le sue industrie, anche contro le pratiche più sleali, come abbiamo dimostrato nel caso emblematico dei televisori (vedere Le Figaro del 3 febbraio 2016), l'Europa ha orchestrato un'incredibile trasferimento di ricchezza della metà della sua popolazione a beneficio del 15% più ricco della popolazione dei paesi emergenti. E ' stato illusorio credere che i benefici della crescita si sarebbero diffusi a tutti gli strati sociali di questi paesi. Le élite di questi nuovi paesi ricchi non avevano interesse a lasciare che aumentassero gli stipendi dei loro connazionali, se volevano conservare il loro vantaggio di costo nella competizione globale.
Per le imprese europee che dovevano affrontare questa super-concorrenza, vi erano due alternative a disposizione, per non essere spazzati via dai loro concorrenti a basso costo. Sviluppare un vantaggio di costo che permettesse loro di resistere all'offensiva sui prezzi, oppure sviluppare la loro capacità di giustificare un sovrapprezzo per il loro marchio, la loro qualità o la loro innovazione. Nella corsa all'abbassamento dei prezzi, le imprese occidentali partivano con un grave handicap, commisurato al costo dei loro dipendenti, alla tassazione e ai vincoli ambientali. Quindi era molto difficile attuare le strategie di leadership di costo, salvo de-localizzare la loro produzione…
Rimane quindi la via della differenziazione, per prodotti o servizi che non sono diventati "accessori". Alcune aziende, soprattutto nel nord Europa, sono riuscite così a passare i loro maggiori costi ai propri clienti, come nel caso delle macchine utensili tedesche. In fin dei conti, i settori che portano occupazione in Europa oggi rientrano in due categorie: le attività che non possono essere de-localizzate (quasi tutti i servizi, ma anche l'edilizia) e quelle che sono riuscite a sfuggire alla guerra dei prezzi grazie alla loro differenziazione.
Alcuni paesi europei, primo tra tutti la Germania, sono chiaramente riusciti a differenziare e hanno mantenuto la quota dell'industria rispetto al PIL ad oltre il 30% (a differenza della Francia o del Regno Unito). Per gli altri, la globalizzazione si è tradotta in deindustrializzazione e impoverimento. I problemi della borghesia europea non si limitano alla distruzione di posti di lavoro industriali, al lavoro extra che deve essere fornito per "mantenere il proprio posto di lavoro", al sotto-lavoro forzato, o alla pressione sui salari, purtroppo. Essi sono aggravati dalle politiche monetarie di bassi tassi di interesse che ha fatto impennare i prezzi delle abitazioni fin dall'inizio degli anni 2000.
Per combattere i danni che la politica della concorrenza aveva volontariamente causato (deindustrializzazione e minori profitti per tutte le aziende che non hanno un vantaggio competitivo o una rendita di posizione), la Banca Centrale Europea ha messo in atto politiche di sostegno alle imprese, abbassando i tassi di interesse, fino a portarli in territorio negativo. Come se il capo Sioux, dopo che i suoi coraggiosi arcieri erano stati decimati dall'artiglieria americana, avesse offerto ai superstiti legno in abbondanza per rimpolpare i loro stock di frecce e andare in battaglia.
Non siamo in "Avatar". Queste misure non ottengono, com'era prevedibile, il loro scopo originale, che era il finanziamento degli investimenti produttivi (divenuto troppo rischioso o non sufficientemente redditizio), ma alimentano diverse bolle, tra cui la bolla immobiliare. Conseguenza: tranne che per i vincitori della globalizzazione, le classi medie trovano non solo sempre più difficile trovare un lavoro correttamente remunerato, ma fanno sempre più fatica a trovare alloggio. Non deve quindi sorprendere che esprimano la loro rabbia e la loro volontà di interrompere il processo in atto con voti di protesta, che lasciano interdette le élite.

L’UE DEVE MORIRE


"Non è possibile che qualsiasi politico europeo sia sufficientemente idiota da credere che sia stata la Russia ad invadere l'Ucraina, che la Russia da un momento all'altro invaderà la Polonia e gli Stati baltici, o che Putin sia un "nuovo Hitler" che progetta di ricostruire l'impero sovietico. Queste accuse assurde non sono altro che propaganda di Washington priva di qualsiasi verità. Tutto ciò è evidente. Nemmeno un idiota potrebbe crederci. Eppure l'Unione europea va di pari passo con la propaganda, come fa la NATO".
Così si esprime in uno dei suoi ultimi articoli P. C. Roberts, economista americano già assistente Segretario del Tesoro ai tempi di Reagan, quindi non propriamente un pazzo esaltato ma un personaggio che ha coperto ruoli importanti in precedenti amministrazioni statunitensi. E' ovvio che i rappresentanti dell'Ue non possono essere classificati come meramente idioti ma se anche la cretineria, come spiega mirabilmente il letterato russo Zinoviev, può raggiungere "vette" di autentica maestria allora tout se tient:
"…In genere non si rivolge attenzione al fatto che gli uomini possono progredire anche in stupidaggine. Capita spesso d'incontrare nella vita certi cretini di cui si può dire che sono dei cretini estremamente notevoli. Possiamo qui perfino suddividere i cretini in geniali e insulsi. Si fa apprendistato di stupidaggine altrettanto quanto d'intelligenza. Solo nel corso di una lunga vita e con un costante allenamento gli uomini raggiungono un alto grado di stupidaggine. In modo assolutamente analogo si svolge la cosa con qualità come il cinismo, la viltà, la scaltrezza, l'astuzia, il raggiro, ecc. La capacità di compiere una bassezza non si raggiunge di colpo. E per diventare un insigne mascalzone, bisogna certo esservi predisposti, ma anche allenarsi a lungo e con tenacia. Non è perciò un caso se i più insigni scellerati s'incontrano più sovente tra la gente istruita e attempata".
Ecco spiegata, in poche parole, l'efficienza idiota con la quale i superdotati di Bruxelles si dedicano alla costruzione di un'Europa servile agli Usa e marginale nella geopolitica mondiale. La stessa efficienza scema che ci ha messo il Governo Italiano per approvare in un baleno i raid sulla Libia che ostacolano i suoi interessi concreti ma favoriscono quelli di Washington. Un vero capolavoro sciocco.
Stando così le cose, non possono esserci vie di mezzo: l'Unione Europea deve morire subito con tutte le sue istituzioni, tutti gli apparati e organismi che sono germinati proprio per riprodurre élite di deficienti con alto quoziente intellettivo, da lasciare precauzionalmente inutilizzato o da utilizzare nella maniera peggiore possibile, a detrimento dei cittadini che vi vivono dentro.
Per far inceppare il meccanismo automatico che riproduce tale incretinimento, colpendo contestualmente i portatori soggettivi dello stesso, non basta scagliarsi contro i suoi accidenti derivati, vedi l'Euro. Chi dice il contrario è vittima di una ottusità antitetico-polare a quella che pretende di combattere. Bisogna andare dritti al cuore del problema. Il mito poietico dell'Ue deve essere smascherato sin dalle sue origini ed il suo prodotto maligno distrutto dalle fondamenta. Esso è germogliato per volontà della C.I.A., come rivelato da documenti desecretati dagli statunitensi, con un ordine chiaro, dato dal Dipartimento di Stato, ai suoi "Padri Affondatori": "sopprimere il dibattito fino al punto in cui l'adozione di tali proposte diverrebbe praticamente inevitabile". Precisamente la strada seguita ancora oggi dai nostri sinceri democratici del piffero.
Siano stramaledetti Monnet (di lui il Generale Charles de Gaulle disse che si trattava di un agente americano), Schuman, Spinelli e compagnia servente. Solo gli schiavi possono prendere a modello gente che si è fatta comprare come Giuda.
Fonte: http://www.conflittiestrategie.it/lue-deve-morire

Questo non è capitalismo e sarà sempre peggio.

"Per favore, considerate tutti questi fattori la prossima volta che qualcuno denuncerà il sistema statunitense come il mi...