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8/18/2016

LO STATO È LADRO, PAROLA DI PROFESSORE


rothbard las vegasdi GUY SORMAN*
Se pensate che l’antistatalismo dei liberali sia eccessivo, evidentemente non conoscete la dottrina libertaria e Murray N. Rothbard, la sua guida intellettuale. In confronto a Rothbard, i liberali sono dei moderati.
Secondo Rothbard lo Stato non esiste in quanto tale: parole come ‘Stato’ e ‘società’ sono illusioni verbali, semplici metafore, non entità reali. Lo Stato è soltanto un’associazione di individui che hanno concordato tra loro di farsi chiamare in tal modo.
Questi uomini e queste donne si sono posti l’obiettivo di esercitare il monopolio legale della violenza e dell’estorsione di fondi. Murray Rothbard afferma tutto ciò con un gran sorriso, come se si trattasse di ovvietà ben note, logicamente concatenate.
Rothbard insegna economia all’università di Las Vegas. In realtà Las Vegas non è nota per la sua università, che tuttavia esiste davvero, soffocata dai casinò… Che cos’è un libertario? Non un membro di una setta religiosa americana, anche se si riscontra in Rothbard un dogmatismo a tutta prova e se Rothbard ha dei discepoli.
I libertari hanno un padre fondatore: l’economista austriaco Ludwig von Mises, intransigente assertore del laissez−faire, che annovera tra i suoi allievi sia Hayek sia Rothbard. In Europa Rothbard sarebbe considerato un ultraliberale, veramente molto ultra! Per i libertari lo Stato è infatti il male assoluto; tutto può essere privatizzato, comprese la Giustizia e la Difesa! Ogni uomo, secondo Rothbard, nasce con il diritto naturale alla proprietà, e ogni attacco alla proprietà viola tale diritto.
I libertari sono quindi anarchici (no allo Stato!) e capitalisti. Ecco perché Rothbard ha scelto di vivere nel Nevada: è questo lo Stato più libero d’America, seppure «non ancora abbastanza, secondo me», corregge il mio interlocutore. In ogni caso lo spirito d’iniziativa vi ha libero sfogo… Se accettiamo di entrare nel sistema di Rothbard, scopriamo che è coerente.
Prenda le tasse, mi dice: si tratta di un puro e semplice furto, perché non sono volontarie. I padroni dello Stato sono gli unici individui della nostra società che ottengano le loro entrate per costrizione. I teorici della democrazia spiegano che le tasse sono volontarie: un contratto stipulato tra lo Stato e il popolo. Falso! Esclama Rothbard.
Basterebbe eliminare l’intimidazione per far sì che i contribuenti smettano immediatamente di pagare. Perché lo Stato è generalmente ritenuto legittimo e non illecito? «In ciò interviene il ruolo dell’ideologia e degli ideologi», risponde Rothbard. In ogni tempo lo Stato ha mantenuto cortigiani la cui funzione consisteva nel legittimarlo.
Gli ideologi hanno il compito di spiegare che un delitto commesso da un individuo è condannabile, mentre quello di massa a opera dello Stato è giusto. Senza ideologia non vi sarebbe Stato. Gli uomini politici lo sanno sin dalle epoche più antiche. Il contenuto delle ideologie di cambiare, ma lo scopo è sempre lo stesso: convincere l’opinione pubblica che l’esistenza e le malefatte dello Stato sono necessarie e devono essere perdonate.
Nessuno Stato, insiste Rothbard, nella forma di monarchia, di democrazia o di dittatura, può sopravvivere a lungo senza l’appoggio dell’opinione pubblica. Il sostegno non ha bisogno di essere attivo: basta la rassegnazione. Etienne de la Boétie, nel Discorso sulla servitù volontaria, già quattro secoli fa aveva definito lo Stato come il potere tirannico di una minoranza accettato da una massa consenziente.
Da ciò nasce l’importanza per lo Stato di reclutare quei fabbricanti di ideologie che sono gli intellettuali. Per un lungo periodo di tempo, gli ideologi sono stati i membri della classe sacerdotale. Nell’epoca più moderna sono stati sostituiti dai discorsi, apparentemente più scientifici, degli economisti, degli scienziati e di altri docenti universitari.
Non è un caso che questi propagandisti siano più o meno tutti impiegati statali e che lo Stato controlli più o meno direttamente tutti i mezzi d’espressione e di comunicazione. E’ il modo di impedire una rivoluzione libertaria. Se è comprensibile che lo Stato voglia controllare gli intellettuali, perché gli intellettuali hanno bisogno dello Stato? «Ogni intellettuale condivide, nel suo profondo, l’ideale platonico del filosofo−re», mi risponde Rothbard.
rothbard las vegas«Inoltre, sul mercato dei consumi, i servigi offerti dagli intellettuali sono scarsamente richiesti. Lo Stato garantisce quindi un minimo di mercato!». Se le tasse sono un furto, la guerra è un crimine e il servizio militare una schiavitù.
Un furto è sempre un furto, un crimine è sempre un crimine: «Che l’uno o l’altro siano perpetrati da un uomo solo o da un gruppo di uomini non ne modifica affatto la natura delittuosa».
E anche in questo caso la democrazia non scusa niente: un’azione criminale non smette di essere tale solo perché una maggioranza l’approva o la condanna! In definitiva, secondo Rothbard, «lo Stato è la più vasta e più importante organizzazione criminale di tutti i tempi, più efficiente di qualsiasi mafia della storia».
Gli intellettuali sono ideologi pagati dallo Stato
Perché lo Stato è generalmente ritenuto legittimo e non illecito? «In ciò interviene il ruolo dell’ideologia e degli ideologi», risponde Rothbard. In ogni tempo lo Stato ha mantenuto cortigiani la cui funzione consisteva nel legittimarlo. Gli ideologi hanno il compito di spiegare che un delitto commesso da un individuo è condannabile, mentre quello di massa a opera dello Stato è giusto.
Senza ideologia non vi sarebbe Stato. Gli uomini politici lo sanno sin dalle epoche più antiche. Il contenuto delle ideologie di cambiare, ma lo scopo è sempre lo stesso: convincere l’opinione pubblica che l’esistenza e le malefatte dello Stato sono necessarie e devono essere perdonate. Nessuno Stato, insiste Rothbard, nella forma di monarchia, di democrazia o di dittatura, può sopravvivere a lungo senza l’appoggio dell’opinione pubblica.
Il sostegno non ha bisogno di essere attivo: basta la rassegnazione. Etienne de la Boétie, nel Discorso sulla servitù volontaria, già quattro secoli fa aveva definito lo Stato come il potere tirannico di una minoranza accettato da una massa consenziente. Da ciò nasce l’importanza per lo Stato di reclutare quei fabbricanti di ideologie che sono gli intellettuali.
Per un lungo periodo di tempo, gli ideologi sono stati i membri della classe sacerdotale. Nell’epoca più moderna sono stati sostituiti dai discorsi, apparentemente più scientifici, degli economisti, degli scienziati e di altri docenti universitari. Non è un caso che questi propagandisti siano più o meno tutti impiegati statali e che lo Stato controlli più o meno direttamente tutti i mezzi d’espressione e di comunicazione.
E’ il modo di impedire una rivoluzione libertaria. Se è comprensibile che lo Stato voglia controllare gli intellettuali, perché gli intellettuali hanno bisogno dello Stato? «Ogni intellettuale condivide, nel suo profondo, l’ideale platonico del filosofo−re», mi risponde Rothbard. «Inoltre, sul mercato dei consumi, i servigi offerti dagli intellettuali sono scarsamente richiesti. Lo Stato garantisce quindi un minimo di mercato!».
Lo Stato può essere privatizzato completamente
I filosofi sono pressoché concordi nel ritenere che il fondamento della natura umana sia la libertà, afferma Rothbard; ma solo i libertari ne traggono conclusioni coerenti. In concreto, cos’è la libertà? «Il diritto naturale, per ogni individuo, di disporre di se stesso e di ciò che ha acquisito con lo scambio o con il dono. La proprietà e la libertà sono quindi indissolubili: ogni attacco alla proprietà è un attacco alla libertà. Le società che separano libertà e diritto di proprietà privano l’uomo delle condizioni necessarie ad esercitare realmente i suoi diritti. Non esiste quindi alcun diritto reale che possa essere distinto dalla proprietà».
E il diritto di parola?. «Il diritto di parola si può esercitare solo usando ciò di cui si è proprietari, oppure chiedendo il permesso al proprietario. Ad esempio, occorre disporre di un giornale o di una sala, oppure prenderli in affitto dal legittimo proprietario». Una società può realmente funzionare senza lo Stato? Tutta l’opera di Murray Rothbard è una risposta affermativa e concreta a questa domanda.
Facciamo alcuni esempi, tra i più estremi. Le strade devono essere privatizzate? «Sì, se alcune società private fossero proprietarie delle strade farebbero pagare l’accesso e avrebbero interesse a garantirne la manutenzione. Se tutte le strade pubbliche delle grandi città fossero privatizzate, la sicurezza sarebbe meglio garantita».
rothbard las vegasL’economia di mercato come potrebbe sostituirsi allo Stato per assicurare i servizi oggi forniti dalla polizia e dalla giustizia? Murray Rothbard obietta sul modo in cui è stata posta la domanda: «Polizia e giustizia non sono concetti astratti, ma sono formate da una serie di precisi servizi che lo Stato fornisce più o meno bene. I vari compiti di un servizio di polizia potrebbero benissimo essere affidati a imprese private, che avrebbero interesse a soddisfare e a rispettare i clienti. In una società libertaria si tratterebbe molto probabilmente di compagnie di assicurazione, che trarrebbero vantaggio nel limitare il crimine e il furto più di quanto ne tragga la polizia attuale, e includerebbero il relativo costo nel premio da pagare. La concorrenza tra le compagnie di assicurazione e di polizia contribuirebbe a un generale miglioramento della sicurezza!».
Non sorgerebbero conflitti tra le polizie private?. «Sì, ma sarebbero meno violenti dei conflitti tra Stati. La società libertaria sarebbe un po’ disordinata, ma meno pericolosa del mondo attuale, regolato dai governi. Per di più, in una società libertaria le compagnie private avrebbero interesse a limitare i conflitti, dannosi agli affari, mentre gli Stati hanno interesse a prolungare le guerre, che ne rafforzano il potere e il prestigio».
Anche la giustizia si presta alla privatizzazione?. «Ricordo nuovamente che l’attuale sistema di monopolio statale funziona male e non soddisfa nessuno. Lo sviluppo spontaneo dell’arbitrato privato dimostra che le forze del mercato hanno cominciato a ridurre il campo d’azione della giustizia statale». Ammettiamolo! Ma una società libertaria come si difenderebbe in caso d’invasione?.
«Innanzitutto una società libertaria non minaccerebbe nessuno, e ciò ridurrebbe i rischi di conflitto. Se nonostante ciò scoppiasse una guerra, spetterebbe ai consumatori il compito di finanziare la protezione. Anche in questo caso la concorrenza tra i sistemi privati di difesa migliorerebbe la qualità della prestazione. E una nazione formata da proprietari si impegnerebbe in una guerriglia senza pietà contro l’invasore».
In definitiva, conclude Murray N. Rothbard, nella società attuale funziona male ciò che è pubblico e che non appartiene a qualcuno. Esempio: l’inquinamento. Proprio perché l’aria e l’acqua non appartengono a nessuno, ognuno può inquinare senza conseguenze. Se l’atmosfera, i mari, i laghi e i fiumi venissero privatizzati, i proprietari preserverebbero la purezza dell’aria e dell’acqua!.
E sia! Ma che ne sarebbe dei poveri in una società in cui ogni libertà è basata sulla proprietà, in cui tutto ha un prezzo?. «In una società libertaria la crescita economica sarebbe rapida, perché lo Stato non la frenerebbe più con i suoi prelevamenti e le sue regolamentazioni: i poveri sarebbero quindi molto meno numerosi. E la carità verrebbe riabilitata. Nell’attuale sistema, la nostra reazione davanti alla miseria è: ‘Che se ne occupi lo Stato!’. Nella società libertaria rinascerebbero i sentimenti di solidarietà e di aiuto reciproco».
L’utopia di Rothbard sembra un po’ troppo estremista. Ma non sottovalutiamo la sua influenza: nelle società liberali e socialiste, dove lo Stato è incontestabilmente in crisi, la dottrina del laissez−faire ha fatto di recenti enormi progressi. In Francia e negli Stati Uniti si medita sul concetto di prigioni private! Una proposta inaudita sino a poco tempo fa, giunta direttamente da von Mises e da Rothbard.
Tutte le rivoluzioni sono inizialmente libertarie
L’inflessibilità e la coerenza hanno procurato a Rothbard il soprannome di ‘Karl Marx dell’anarco−capitalismo’. Il mio interlocutore non è dispiaciuto dell’accostamento, benché precisi che a suo parere Marx è stato «troppo amante della violenza» e «senza dubbio un po’ matto»! Ma Rothbard è un rivoluzionario? «Non preconizzo la rivoluzione in sé, però le rivoluzioni non danno necessariamente cattivi risultati: ad esempio, quella americana del 1776 o quella francese del 1848 hanno fatto progredire la libertà».
Rothbard constata anche che tutte le rivoluzioni del XX secolo sono state inizialmente di ispirazione libertaria: contro lo Stato e a favore della proprietà privata. I russi del 1917 e i cinesi del 1949 erano contadini ribelli che rivendicavano la proprietà privata; non chiedevano né l’uguaglianza né il socialismo. Il risultato finale di queste rivoluzioni non deve far dimenticare quale fu la rivendicazione iniziale, tanto rivelatrice della natura umana.
rothbard 5In tempi più recenti le “rivolte fiscali” degli Stati Uniti vanno, secondo Rothbard, per il verso giusto: indeboliscono lo Stato, lo privano di risorse. «Sintomo eccellente» quanto lo scandalo del Watergate, che ha screditato il potere! Più che sulla rivoluzione, «impossibile nelle democrazie occidentali», Rothbard punta però sulle «contraddizioni interne» del sistema statale: è Marx alla rovescia…
Lo Stato sta per scomparire a causa delle sue contraddizioni
L’umanità ha rotto definitivamente, sul finire del XVIII secolo, con il “vecchio ordine” della penuria e della schiavitù, afferma Rothbard. Da allora lotta per la sua illimitata aspirazione a una maggiore libertà individuale e a un maggior benessere materiale.
E ormai solo lo Stato ostacola l’avanzata. Ciò è evidente nel mondo socialista, dove si assiste a una «quasi abdicazione» dei governi di fronte all’economia e alle forze del mercato. Ciò risulta lampante anche nel mondo capitalista, dove il dirigismo è in rotta. Ovunque le forze del mercato vincono e portano in piena luce il conflitto tra lo Stato e l’aspirazione al benessere.
Gli occhi di Rothbard brillano di gioia nell’evocare questa ineluttabile Grande Sera. Ma il processo (non lasciamoci trarre in inganno) sarà lungo e difficile. Lo Stato è abile nel difendere i propri interessi; la “mafia” sa cambiare strategia e discorso, se necessario. Negli anni ’50 «i burocrati cercavano di rubare il più possibile in nome della pianificazione centralizzata dell’economia».
Poiché nessuno vi crede più, hanno trovato un argomento di ricambio: «la redistribuzione e la giustizia sociale». Un altro cambiamento della strategia dello Stato: «L’imposta sul reddito viene contestata? Non importa, lo Stato l’abbassa e la sostituisce con un’altra imposta, più discreta e molto più produttiva: l’Iva». Secondo Rothbard il crollo del sistema statale lascerà il posto a una società libertaria solo «in proporzione a quanto i libertari si saranno organizzati per denunciare la flessibile strategia statale, e per sostituirsi allo Stato dopo la sua caduta».
Bolscevichi del laissez−faire, unitevi!
Ogni compromesso sull’esistenza stessa dello Stato è un’incoerenza, secondo Rothbard: si deve rifiutare persino l’idea che uno “Stato minimo” possa rivelarsi benefico. L’interesse pubblico non esiste: tutto, per natura, è privato, mentre nulla è pubblico. Appare inutile e contraddittorio rivendicare una diminuzione delle tasse se queste ultime vanno totalmente eliminate.
Nelle migliore delle ipotesi, la strategia libertaria consisterà nell’accontentarsi di una riduzione provvisoria, continuando però a esigere la totale soppressione. In questa battaglia la destra conservatrice è particolarmente incoerente, a parere di Rothbard: conta sullo «Stato−ladro» per una spontanea cessazione del furto.
Quanto ai liberali classici, sia dell’Europa sia degli Stati Uniti, «sono dei traditori». Risultato del tradimento è il reaganismo: un discorso antistatale che in realtà ha portato a un aumento delle spese dello Stato. Il vero pensiero libertario deve dunque incarnarsi in un partito puro e duro, che non esiti davanti alle purghe e all’esclusione dei “molli”.
Questo partito esiste negli Stati Uniti e Rothbard ne è il teorico. I risultati elettorali sono modesti: un deputato in Alaska e un altro nel Texas. Ma l’importante è partecipare alle elezioni e farsi sentire. I candidati libertari beneficiano dell’appoggio di determinati settori del mondo degli affari, spesso dei “milionari self−made man”.
rothbard 6Il partito si presenta infatti come l’unico autentico difensore del capitalismo assoluto. I libertari idealizzano i capitani d’azienda. L’autore preferito, persino venerato, è Ayn Rand: una scrittrice i cui personaggi sono imprenditori “nietzschiani” che si confrontano con le forze burocratiche del Male.
Ma il partito libertario non è solo capitalista, è anche anarchico. Murray Rothbard raccoglie intorno a sé tutti gli amanti della libertà assoluta: i fautori della liberalizzazione della droga, gli obiettori di coscienza e gli emarginati di ogni tipo.
Nella società libertaria, egli ricorda, ognuno è padrone di sé stesso e vive come vuole: la droga, il gioco e la prostituzione sono dunque problemi squisitamente personali. Naturalmente, aggiunge Rothbard, niente può opporsi all’immigrazione: la libertà di movimento deve essere assoluta e l’immigrazione va regolata dal mercato, non dalla polizia.
«Sono l’alleato obiettivo di certi esponenti della sinistra, dei pacifisti e degli ecologisti nella lotta contro la repressione poliziesca e contro la grande industria subordinata agli ordini dello Stato». Las Vegas è un’anticipazione della società libertaria?. Le macchine a gettone sono onnipresenti e ricordano che ogni cosa è regolata dal denaro.
Nelle cappelle per i matrimoni, dove la cerimonia viene sbrigata in cinque minuti, tutto si può prendere a nolo: il pastore, l’abito da sposa, i fiori in plastica, il sermone e la musica registrata. «Las Vegas non è il simbolo del buon gusto», ammette Rothbard, «ma è molto meglio di Hiroshima. La filosofia del laissez−faire non ha mai ucciso nessuno e nessuno uccide in suo nome».
* Intervista realizzata per Figaro Magazine, il 24 Giugno 1989, tratta da http://www.libreriadelponte.com/

5/14/2015

GLI EVASORI FISCALI COME I KULAKI, IL GOVERNO ITALIANO COME L'URSS

Negli ultimi vent’anni l’Italia si è progressivamente allontanata dai sistemi ad economia di mercato per abbracciare un modello che presenta numerose analogie con il regime sovietico nella fase stalinista di consolidamento del comunismo. La pressione fiscale effettiva sulle imprese, tenendo conto di ogni imposta e contributo, ha raggiunto un livello ufficiale vicino al 70 % degli utili, che in alcuni casi arriva fino all’85 %. Ci sono anche stati casi di imprenditori che, dovendo pagare il 110 % di imposte sugli utili prodotti, si sono indebitati con le banche. Questo livello di tassazione è in linea con quello applicato dal regime sovietico tra la fine degli Venti e i primi anni Trenta, quando Stalin decise di collettivizzare l’intera economia eliminando i ceti produttivi privati.
Le entrate fiscali italiane, aumentate da 450 miliardi a oltre 750 miliardi negli ultimi due decenni, hanno trasferito 300 miliardi aggiuntivi dalle tasche dei ceti produttivi privati al ceto burocratico. Si tratta di una confisca di ricchezza privata che rivaleggia per rapidità e imponenza con quella realizzata in quegli anni dalle autorità sovietiche. Anche le modalità operative e propagandistiche con cui le autorità comuniste perseguitavano e depredavano i produttori privati avevano inquietanti similitudini con gli attuali sistemi di “lotta all’evasione fiscale”. Un sintomo rivelatore della vicinanza ideologica tra i due sistemi è il fatto che in Italia i membri della casta politico-burocratica hanno adottato, in difesa dei propri interessi, lo stesso frasario utilizzato dalla nomenklatura staliniana per denigrare e criminalizzare i ceti produttivi: “ricchi”, “egoisti”, “evasori”, “speculatori”, “parassiti”.
Oggi come allora gli accertamenti fiscali vengono eseguiti con metodi terroristici e arbitrari, e accompagnati da una martellante propaganda di regime contro il nemico del popolo, “l’evasore fiscale”. Lo Stato italiano inoltre, attraverso gli studi di settore, i redditi presunti o gli obblighi contributivi svincolati dagli utili prodotti, usa anche la collaudata tecnica sovietica di rovinare i produttori privati esigendo dei tributi di entità assolutamente irraggiungibile. Ad un certo punto le autorità sovietiche ipotizzarono come metodo di lotta nei confronti dei “ricchi” kulaki l’abolizione del contante: un’idea che i governi italiani accarezzano da tempo, e che finora hanno realizzato solo parzialmente abbassandone il limite di utilizzo a 1000 euro, il livello più basso del mondo.
L’adozione su vasta scala di questi sistemi di lotta alla presunta evasione fiscale dei contadini provocò in Ucraina, negli anni 1932 e 1933, un spaventosa carestia con parecchi milioni di vittime. Oggi gli storici considerano questa tragedia come un vero e proprio genocidio pianificato a tavolino dalle autorità statali per eliminare un’intera classe di produttori privati. Anche qui sono evidenti le analogie con la situazione italiana, nella quale, a fronte di un crescente aumento dei privilegi per la casta politico-burocratica, comparabili a quelli che godeva la nomenklatura sovietica rispetto al resto della popolazione, si sta verificando un vero e proprio annientamento dei ceti produttivi privati perseguito con gli strumenti dell’accanimento fiscale e burocratico.
La distruzione del 25 % del settore produttivo privato ha provocato infatti il risultato desiderato dalla casta statale: la chiusura di centinaia di migliaia di aziende, il suicidio di migliaia di imprenditori, commercianti, artigiani o lavoratori privati che hanno perso il posto al ritmo di due o tre al giorno, il ritorno in grande stile dell’emigrazione degli italiani all’estero. Ai nostri politici non interessa nulla se le aziende chiudono o espatriano. Intendono infatti sostituire questi occupati con orde di nuovi assunti come insegnanti, forestali, dipendenti di municipalizzate e partecipate, impiegati di ministeri.
La persecuzione fiscale e burocratica contro le partite IVA mira a indebolire e alla lunga a distruggere la classe dei lavoratori autonomi, considerati pericolosi e inaffidabili perché si mantengono da soli, senza dipendere dalla politica o dalla spesa pubblica. Al contrario, i dipendenti pubblici sono spesso elettori docili e inquadrati, che votano in massa a sostegno del regime che li mantiene e li protegge. Si tratta di una strategia folle e perversa dal punto di vista economico, ma perfettamente razionale dal punto di vista politico, perché conduce al dominio assoluto del ceto politico-burocratico sulla società civile.
KULAKIL’uso sistematico e martellante della propaganda, della menzogna e dell’occultamento della verità costituisce un’altra somiglianza tra il comportamento del governo sovietico di allora e dei governi italiani di oggi. Così come il regime sovietico cercava di nascondere al mondo la terribile situazione che si stava verificando in Ucraina, oggi i media italiani, quasi tutti sussidiati dallo Stato e quindi controllati dal regime, evitano sistematicamente di parlare di un fenomeno di enorme portata sociale come quello dei suicidi dei lavoratori autonomi perseguitati da Equitalia o dall’Agenzia delle Entrate.
Oggi tutti riconoscono che la propaganda staliniana contro i contadini ucraini, accusati dal regime staliniano di occultare i raccolti e fatti morire di fame a milioni in quanto “evasori”, era falsa, perché le immense quantità di grano o di denaro nascoste dai contadini ucraini non esistevano. Erano pura propaganda, pretesti per colpire delle categorie sociali considerate inaffidabili e poco controllabili. Allo stesso modo, anche oggi le iperboliche cifre sull’evasione sbandierate dalla casta politico-burocratica, e prontamente riprese dai media sussidiati, sono inventate di sana pianta, sono numeri privi di fondamento reale, dedotti da accertamenti gonfiati che, nella grande maggioranza dei casi, si rivelano infondati.
Del resto, con le decine di strumenti di controllo sempre più invasivi che sono stati creati nel corso degli ultimi anni, quasi più nulla ormai sfugge all’occhio del fisco. Attraverso gli studi di settore, il redditometro, lo spesometro, le segnalazioni al 117, Serpico (il supercervellone elettronico che incrocia decine di migliaia di informazioni al secondo), l’abolizione del segreto bancario, i 400mila controlli all’anno sulle piccole imprese, i blitz contro la mancata emissione di scontrini, il limite all’utilizzo dei contanti fino a 999 euro, l’utilizzo del pos per le transazioni commerciali sopra i 30 euro, il Grande Fratello fiscale conosce praticamente morte, vita e miracoli di ogni contribuente. Com’è possibile che possano sfuggirgli ogni anno centinaia di miliardi?
Nessuno dovrebbe prendere sul serio questi numeri sull’evasione fiscale, perché provengono da una delle parti direttamente interessate e non da un organo terzo e indipendente. I funzionari del fisco hanno un forte interesse a diffondere le cifre più alte possibili, perché più numerosi e scaltri sono gli evasori, maggiori sono le probabilità di ottenere dal governo un potenziamento di organici, mezzi, risorse e poteri. Il ceto politico, da parte sua, accondiscende volentieri, perché la favola del tesoro nascosto dai perfidi evasori gli offre un facile capro espiatorio da dare in pasto al popolino credulone e indottrinato. In questo modo la casta politica può mascherare dietro all’evasione le proprie immense responsabilità nella rovina finanziaria dello Stato, e perpetuare indisturbata il saccheggio e lo sperpero del denaro pubblico.
Negli anni Trenta l’evasione dei contadini rappresentava una piccola goccia nell’oceano di sprechi e privilegi che caratterizzava lo stato sovietico. Qualcuno pensa che l’odierna situazione italiana sia diversa? Eppure anche oggi, come nell’Ucraina di quel tempo, la lotta all’evasione viene condotta in maniera spietata, senza alcun riguardo per la rovina dell’economia nazionale, la distruzione delle aziende o la disperazione delle vittime. Non una parola di rammarico, di rispetto, o anche solo di pietà umana è uscita dalla bocca dei politici o dei funzionari statali per le migliaia di lavoratori privati che si sono suicidati a causa di una pressione fiscale sulle imprese e sul lavoro che non ha eguali nel mondo. Anzi, com’è tipico dei regimi totalitari, spesso alle vittime si è aggiunto l’insulto, la beffa e lo sberleffo: i commenti sarcastici sui suicidi degli imprenditori lasciati dai funzionari ministeriali sui social forum sono particolarmente significativi.
Per la scarsa resistenza opposta dai contadini, durante la grande carestia che colpì l’Ucraina il numero di vittime tra gli aguzzini armati fu quasi irrilevante. Anche oggi in Italia i privati produttori di reddito soffrono terribilmente (negli ultimi cinque anni hanno chiuso 400.000 partite iva e 75.500 imprese artigiane), mentre nessun consumatore di tasse statale ha perso il lavoro, è stato indotto a emigrare o si è suicidato per ragioni economiche. Come mai? Una “crisi economica” non dovrebbe colpire in maniera più o meno equilibrata tutte le fasce della popolazione?
Così come il genocidio dei contadini ucraini non fu una carestia naturale, ma una guerra studiata a tavolino dal governo sovietico con l’intento di liquidare un’intera classe sociale, allo stesso modo i ceti produttivi italiani non sono stati vittime di una “crisi” economica, come continuano a ripetere i giornali, ma di un deliberato attacco sferrato dal ceto parassitario che controlla l’apparato statale. È questa la ragione per cui, oggi come allora, le vittime si contano da una sola parte. Non è ancora chiaro chi sono i perseguitati e chi sono i persecutori?

Fonte:  http://url.ie/z079

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Scritto da Bruce Davidson tramite The Brownstone Institute, L'eccessiva risposta medica alla pandemia di Covid h...