1/08/2014

Dividendi la tosatura silenziosa dell’azionista

Articolo di Beppe Scienza che ringraziamo immensamente per istruirci su cose che quasi nessuno ci spiega.

CON L’INIZIO del 2014
sono dieci anni esatti dalla
soppressione del credito
d’imposta sui dividendi.
Un istituto di equità
fiscale che si sono ben
guardati dal ripristinare i
governi da allora succedutisi,
di destra, sinistra e
intese più o meno larghe.
Il principio a monte di
questo strumento è semplice:
permettere al piccolo
azionista di essere tassato
sugli utili distribuiti
dalla società in base al suo
reddito. E in particolare
di meno, se questo è basso.
Il che è del tutto coerente
col criterio di progressività
tributaria enunciato
nell’articolo 53 della
Costituzione. Vediamo
cosa capita invece adesso,
semplificando molto, perché
la normativa è complessa,
ma quello che
conta è il concetto di fondo.
Partendo da 100 euro
lordi di utile per azione e
togliendo il 27,5 per cento
per l’imposta sul reddito
delle società (Ires), restano
72,5 euro. Se la società
li distribuisce come dividendo,
viene applicata
un'ulteriore ritenuta del
20 per cento, per cui in
tasca all'azionista arrivano
58 euro netti. Così in
pratica paga il 42 per cento
di tasse. A rigore ben
di più a causa di un’altra
imposta (Irap), dei costi
non deducibili ecc. Ma
fermiamoci pure qua.
È giusto che un piccolo risparmiatore
sia così tartassato?
Fino al 2003 si
pensava di no. Per cui un
contribuente con redditi
medio-bassi riceva indietro
un po’ di soldini, riportando
i dividendi nel modello
Unico o anche nel
730. La norma venne
abrogata da Giulio Tremonti
a fine 2003, in barba
alla prima delle tanto decantate
“tre i” (impresa,
Internet e inglese). Perché
Enrico Letta non ha trovato
lo spazio per reintrodurla,
fra le centinaia di
provvedimenti di cui ha
infarcito la Finanziaria e il
decreto Milleproroghe?
Ragionando sulle aliquote
attuali e su ogni 100 euro
di dividendi netti incassati,
chi è nel secondo scaglione
(15-28 mila euro di
reddito annuo) riceverebbe
dall’erario altri 25,9 euro;
e addirittura 32,8 nel
caso di redditi inferiori.
Mentre ora, di fatto, tutti
sono obbligati a subire la
cosiddetta cedolare secca
sui dividendi, inventata
per chi aveva redditi alti. È
così che si vogliono indurre
gli italiani a comprare
altre azioni delle aziende
pubbliche da privatizzare?

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